Rimborso IVA solo in casi eccezionali: la Cassazione chiarisce i limiti dell’azione diretta
La Suprema Corte ribadisce che il consumatore finale può rivolgersi direttamente all’erario solo se è impossibile agire contro il fornitore.

Con la sentenza n. 6812/2025, la Corte di cassazione ha ribadito che l’azione diretta per ottenere il rimborso dell’IVA indebitamente versata può essere esercitata nei confronti dell’Agenzia delle entrate solo in circostanze eccezionali, quando sia del tutto impossibile o eccessivamente difficile agire nei confronti del prestatore o cedente del servizio.
Il caso ha preso avvio da una società che chiedeva il rimborso dell’IVA pagata nel 2018 su oneri inclusi nella bolletta elettrica, ritenuti non imponibili. Dopo il silenzio dell’Amministrazione, la società ha impugnato il rifiuto implicito e ha ottenuto ragione in primo e secondo grado.
L’Agenzia ha però proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che, essendo la società un consumatore finale, non poteva esercitare direttamente un’azione di rimborso IVA nei suoi confronti. La Cassazione ha accolto il ricorso, chiarendo che il meccanismo dell’IVA prevede tre rapporti distinti — tra amministrazione e fornitore, tra fornitore e cliente (rivalsa), e tra amministrazione e cliente (detrazione) — i quali non si sovrappongono.
In linea con la giurisprudenza europea, la Corte ha confermato che solo il prestatore può chiedere il rimborso all’erario, mentre il destinatario del servizio ha azione civilistica contro il fornitore. L’azione diretta verso il Fisco è ammessa solo in presenza di ostacoli insormontabili nel recupero delle somme dal prestatore. La sentenza impugnata è stata quindi cassata senza rinvio, con compensazione delle spese di lite.